Diffamazione a Mezzo Internet

Avvocato Diffamazione Tramite Social

La diffamazione a mezzo internet ha negli ultimi anni proliferato a tal punto da intasare le Procure di mezza Italia, e da richiedere nel contesto giudiziario una più grave portata denigratoria delle espressioni utilizzate per non determinare il Pubblico Ministero che se ne occupa a richiedere l’archiviazione del procedimento all’evidente fine di sfoltire il carico dei ruoli.

Quasi ormai non v’è persona che in modo diretto o indiretto non sia stata coinvolta in episodi legati a tale reato, che siano essi rappresentati da un mero post su uno dei numerosi social piuttosto che da una vera e propria campagna mediatica portata da una avversa testata giornalistica.

Del resto appare quasi scontato che nell’attuale era digitale, in cui la comunicazione è diventata sempre più semplice e veloce, una notizia pubblicata sul web, un post su un social network, un commento inappropriato su una chat di un gruppo facebook o di un gruppo “whatsapp” siano in grado di raggiungere facilmente un numero imprecisato e spesso anche molto elevato di persone.

Anche tra i più giovani si è arrivati persino a suicidi determinati da comportamenti diffamatori che hanno avuto l’effetto di alienare il soggetto colpito dal contesto sociale in cui era inerito.

Infatti l’effetto da “cassa di risonanza” delle informazioni pubblicate sul web, ancor più se ampliato dall’eventuale esposizione mediatica del soggetto passivo, può riverberare effetti assai gravi ogniqualvolta l’oggetto del messaggio diffuso abbia carattere denigratorio ed infamante nei confronti di quest’ultimo, e purtroppo spesso a prescindere dalla effettiva veridicità del propalato, sulla quale non si sofferma la sensibilità dei più.

Pertanto il danno subito da una vittima di diffamazione per il tramite di mass media (TV, web, giornali) o di social network (Facebook, Linkedin, Twitter) può risultare ben più aggravato rispetto al passato, e ciò oltre a richiedere strumenti sanzionatori più efficaci aumenta l’importanza di ben conoscere le possibili strategie di tutela dall’attacco diffamatorio subito.

Presupposto di tale valutazione è l’analisi quasi immediata sulla sussistenza o meno del reato che il Difensore di lungo corso è ben in grado di operare dopo una narrazione dettagliata della vicenda da parte del soggetto coinvolto, attraverso la quale può fornire la propria consulenza ed operare le scelte conseguenti in favore del proprio Assistito.

Ma cos’è la diffamazione dal punto di vista giuridico, quali ne sono gli indispensabili requisiti, le circostanze aggravanti e le principali cause di esclusione del reato, alla stregua dei parametri forniti dalla recente giurisprudenza?

Di fronte al prolificare dei processi proprio alla Corte di Legittimità è imposto l’obbligo di definire criteri più o meno obiettivi per ritenere o meno sussistente il reato, al di là delle mera lettura della semplice norma incriminatrice.

Quali i percorsi che la vittima di un attacco diffamatorio, più o meno grave che sia, può intraprendere con maggiore efficacia anche e soprattutto al fine sia di arginare l’attacco che di ottenere un congruo risarcimento del danno subito?

L’art. 595 c.p. punisce per il reato di diffamazione “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione” con “la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032,00”.

Gli elementi costitutivi della diffamazione sono pertanto costituiti dai due soli elementi dall’offesa dell’altrui reputazione e dalla comunicazione con più persone.

1) L’offesa dell’altrui reputazione deve essere intesa come una lesione delle qualità personali, morali, sociali, professionali, di un individuo e si concretizza quando è lesa l’immagine, l’onore od il decoro di una data persona.

In particolare, la giurisprudenza ha affermato che l’idoneità a ledere l’onore ed il rispetto di un individuo tramite l’utilizzo di parolacce o di espressioni volgari di vario tipo, debba essere valutata in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore, al contesto nel quale dette espressioni sono state pronunciate, nonché alla coscienza sociale (v. Cass. pen., sez. V, 14/02/2014, n. 14067).

Ciò che più rileva per la sussistenza del reato è la portata offensiva delle parole pronunciate e non tanto le parole in sé, per cui potrebbero essere obiettivamente ingiuriose anche espressioni in sé non volgari.

Ad esempio una recente sentenza della Cassazione ha annullato la pronuncia di assoluzione dal reato di diffamazione emessa nei confronti dell’imputato il quale, in una chat di un gruppo “whatsapp”, aveva utilizzato il sostantivo “animale” per indicare in maniera spregiativa il bambino che aveva procurato una ferita al volto della figlia.

La Corte ha infatti ritenuto che paragonare un bambino ad un “animale” assumesse indubbiamente portata offensiva e diffamatoria (v. Cass. pen., sez. V, 27/05/2019, n. 34145).

E’ poi necessario valutare il contesto in cui la presunta offesa è stata perpetrata, e pertanto l’ambito complessivo nel quale le espressioni volgari sono state pronunciate.

Anche su questo profilo la Corte di legittimità ha chiarito ad esempio che nell’ambito delle trasmissioni dedicate al c.d. “gossip” caratterizzate dalla spettacolarizzazione in sé del pettegolezzo, il criterio della continenza espressiva debba valutarsi secondo i parametri propri della critica di costume, la quale consente toni anche sferzanti purché non gratuiti e sempre pertinenti al fatto narrato ed al concetto da esprimere (Cass. pen., sez. V, 20/03/2019, n. 32829).

Nell’esercizio dell’attività giornalistica, si è invece stabilito che il carattere diffamatorio di uno scritto non possa essere escluso sulla base di una lettura parziale delle singole espressioni in esso contenute, dovendosi invece giudicare la portata complessiva del medesimo con riferimento ad alcuni elementi, quali sono anche l’accostamento e l’accorpamento di notizie, l’uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale, il tono complessivo e la titolazione dell’articolo.

2) Quanto al secondo elemento costitutivo del reato relativo alla comunicazione con più persone, la trasmissione del messaggio diffamatorio a più soggetti può avvenire sia oralmente che per iscritto ma non è richiesta comunque la contemporaneità della comunicazione.

Potrà pertanto configurarsi il reato di diffamazione anche quando la comunicazione sia intercorsa con i soggetti in tempi diversi o con intervalli più o meno lunghi.

Per quanto più specificamente attiene ai social networks, postarvi un commento denigratorio (quale la bacheca di Facebook o le diverse piattaforme) potrebbe configurare in sé il reato di diffamazione, attesa la certa idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento, tra l’altro nell’ambito di un gruppo di persone numericamente apprezzabile (Cass. pen., sez. V, 13/07/2015, n. 8328).

E’ stato altresì opportunamente chiarito come la vittima non debba essere necessariamente identificata per nome e per cognome, essendo sufficiente che essa risulti individuabile (anche per esclusione ed in via deduttiva) nell’ambito di una categoria ristretta di persone, purchè i soggetti destinatari del messaggio diffamatorio, per motivi personali o di lavoro, siano a conoscenza di alcuni dirimenti ed inequivoci particolari della vita privata della vittima, di qualsiasi genere, che ne consentano l’individuazione.

Per quanto attiene all’elemento soggettivo, il dolo richiesto è quello generico, essendo pertanto sufficiente la consapevolezza del diffamatore di pronunciare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione, accompagnata dalla volontà che la frase denigratoria possa giungere a conoscenza di più persone.

Le circostanze aggravanti

Per quanto tale profilo resti ai margini dell’interesse di cui la vittima è portatrice, la pena del reato di diffamazione può essere aumentata in presenza di circostanze aggravanti ed in particolare:

1) quando vi è stata attribuzione di un fatto determinato (comma 2) poiché in tale ipotesi l’offesa alla reputazione della vittima è maggiormente credibile e l’affermazione ha pertanto una portata ben più lesiva di un’offesa generica;

2) quando l’offesa è stata arrecata a mezzo di stampa, pubblicità, o atto pubblico (comma 3), essendo ovvio che tali mezzi di propagazione delle notizie amplificano notevolmente il messaggio diffamatorio. La prevalente giurisprudenza equipara i social network ad un mezzo di pubblicità, riconoscendo quindi la diffamazione nella forma aggravata quando “il messaggio viene inoltrato a destinatari molteplici e diversi, per esempio attraverso la funzione di forward o a gruppi di Whatsapp, su Twitter o Facebook […]” (Cass. pen., V sez., n. 7904/19; Cass. pen. sez. V, 13/07/2015, n. 8328; Tribunale Pescara, 05/03/2018, n. 652);

3) quando l’offesa è stata arrecata ad un corpo politico, amministrativo, giudiziario, sua rappresentanza, autorità costituita in collegio (comma 4), reputandosi ancor più grave in tal caso il vilipendio delle istituzioni;

4) quando l’offesa ha finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso e nello specifico quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui era collocata, risulti intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno ed a suscitare in altri un analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori (v. Cass. pen, sez. V, 02/11/2017, n. 7859, relativamente alla fattispecie di pubblicazione di un messaggio su “Facebook”, con cui invitava la persona offesa di etnia africana a ritornare nella “giungla”).

Nel quadro necessario alla complessiva valutazione sulla effettiva sussistenza del reato, occorre soffermarsi sulle eventuale relative cause della sua esclusione, stante la necessità di contemperare l’interesse della “vittima” con quelli opposti.

A tal riguardo, l’ordinamento prevede appunto una serie di cause di esclusione del reato di diffamazione (c.d. esimenti), ossia un ampio raggio di casistiche in cui l’offesa dell’altrui reputazione non configura alcun reato in presenza di determinate ed opposte esigenze tassativamente previste dalla legge.

Sotto questo profilo assume peculiare rilievo il bilanciamento effettuato dal legislatore soprattutto con le “esimenti” relativa alla libertà della manifestazione del proprio pensiero (artt. 21 Cost. e 51 c.p.) e del diritto di cronaca (peraltro applicabile anche a favore di non iscritti all’ordine dei giornalisti), che costituiscono infatti le tradizionali cause di

  1. A) Il DIRITTO DI CRONACA GIUDIZIARIA consiste nel diritto di raccontare senza incorrere nella contestazione del reato accadimenti reali tramite mezzi di comunicazione di massa in considerazione dell’interesse che rivestono per la generalità dei consociati, ed è subordinato all’esistenza dei presupposti relativi:

1) alla verità oggettiva o anche solo putativa della notizia pubblicata, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca che non sussiste quando -pur essendo veri i singoli fatti riferiti- siano dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; oppure, quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, o da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi, obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) false rappresentazioni della realtà oggettiva.

Sul giornalista grava infatti l’onere di controllare l’attendibilità della fonte informativa e di accertare la verità del fatto pubblicato, essendo altrimenti responsabile dei danni derivanti dal reato di diffamazione, salvo che non provi la sua buona fede ai sensi dell’art. 59 ultimo comma c.p.

L’art. 59 c.p. ultimo comma –infatti- esclude la punibilità del giornalista qualora avesse ritenuto per errore che esistessero circostanze di esclusione della pena, salvo che non si trattasse di un errore determinato da sua colpa.

La ricerca delle predette fonti informative deve peraltro dimostrarsi seria ed approfondita, per cui gli studi effettuati tramite motori di ricerca od enciclopedie online, del genere “Wikipedia”, non sono stati ritenuti idonei a garantire la reale completezza informativa, risultando inapplicabile in tali ipotesi la scriminante del diritto di cronaca giudiziaria (Cass. pen., sez. V, 15/04/2019, n. 38896).

Nel diritto di cronaca giudiziaria, il giornalista è chiamato ad un particolare rigore nel valutare l’attendibilità delle fonti e -nel dubbio circa la veridicità delle notizie rinvenute- è tenuto a non pubblicare alcunché, posto che in tali casistiche il diritto costituzionale alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) si scontra non solo con principi di rango costituzionale, quali il diritto all’onore ed alla reputazione personale (artt. 2 e 3 Cost.) e quello della presunzione di innocenza dell’imputato fino alla condanna definitiva (art. 27 Cost.).

La cronaca giudiziaria è infatti considerata lecita quando si limiti a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé, o a riferire e/o commentare l’attività investigativa o giurisdizionale. Se invece le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario vengono utilizzate per ricostruzioni od ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti, il giornalista dovrà assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un’autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica (Tribunale Milano sez. I, 11/04/2019, n. 3592).

2) una seconda componente che contente di ritenere lecito il diritto di cronaca giudiziaria è poi rappresentata dall’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, giacché la vicenda narrata non deve soddisfare una mera curiosità ma deve assumere rilevanza pubblica, anche quando parzialmente attinente alla vita privata del soggetto passivo;

3) il terzo ed ultimo requisito è infine quello della correttezza formale dell’esposizione (c.d. “continenza espressiva”), considerato che le pur offensive modalità espressive devono essere pacate e contenute. In particolare, “lo scritto” non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire e deve essere improntato a serena obiettività con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio.

  1. B) Il DIRITTO DI CRITICA, come quello di cronaca, è soggetto ai limiti: 1) della verità oggettiva dei fatti dichiarati; 2) dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (nel senso che la critica non si deve risolvere in offese “gratuite”); 3) la c.d. continenza espressiva; 4) ed inoltre deve essere congruamente motivato.

1) Anche sul diritto di critica la giurisprudenza ha definito una serie di principi volti a delimitarne la liceità, e pertanto la possibilità che esse escludano la sussistenza del reato.

A differenza del diritto di cronaca, quello diritto di critica si concretizza fisiologicamente nella manifestazione di un giudizio valutativo del tutto soggettivo rispetto ai fatti narrati, che però costituendone il fondamento devono corrispondere a verità, magari non assoluta ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive (Cass. pen., sez. V, 18/04/2019, n. 21145; Cass. civ., sez. III, 06/04/2011, n. 7847).Il soggetto criticante, in particolare allorchè giunga ad accusare il criticato di veri e propri comportamenti antigiuridici, deve quantomeno indicare il fondamento fattuale delle sue accuse, nonché precisare dove abbia tratto il suo convincimento, in quanto se è vero che la critica è svincolata dal presupposto della verità non lo è il fatto che si intende criticare (nel caso di specie, è stata confermata la condanna per l’imputato che aveva accusato su Facebook l’impiegata comunale di aver favorito il fratello, Cass. pen., sez. V, 12/06/2017, n. 34160). I fatti ed i comportamenti cui la critica è riferita non possono altresì essere inventati od alterati nel loro nucleo essenziale, o interpretati arbitrariamente in modo che l’opinione finisca per essere del tutto sganciata da quei fatti e comportamenti, poiché altrimenti si esorbiterebbe da una critica legittima.

2) Anche per il legittimo esercizio del diritto di critica vige poi il presupposto dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto che però dovrà intendersi come interesse dell’opinione pubblica, anche solo di una categoria di soggetti, alla conoscenza non del fatto oggetto di critica.

3) In tema di continenza espressiva il diritto di critica -in quanto manifestazione dell’opinione personale dell’autore- non può essere per sua intrinseca caratteristica totalmente obiettivo e può manifestarsi anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente (Cass. civ., sez. III, 06/08/2007, n. 17180). La critica può essere esercitata utilizzando espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o da un comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto criticato.

  1. C) Un’ultima causa di esclusione del reato assai ricorrente attiene poi alla provocazione subita dal diffamatore (o presunto tale) ad opera della vittima dell’offesa.

L’art. 599 c.p. prevede espressamente che “Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’articolo 595 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”, e può nel caso essere giuridicamente invocato con successo.

Il requisito dell’immediatezza non deve peraltro intendersi come reazione attuata nello stesso preciso momento dell’offesa ma può consistere in una reazione successiva temporalmente, purché dipenda sempre dalla natura della ritorsione all’offesa.