Reati contro la Pubblica Amministrazione

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Reati contro la Pubblica Amministrazione a Roma

I reati contro la Pubblica Amministrazione pur rappresentando meno dell’uno per cento dei processi pendenti i Italia, risultano di grande rilievo sia nelle cronache mediatiche che nel vissuto dei soggetti coinvolti, tanto per l’elevato livello sanzionatorio che per l’utilizzo a volte sin troppo disinvolto delle misure cautelari da parte dai Pubblici Ministeri che se ne occupano.

Tali circostanze impongono scelte processuali da formulare in tempi a volte assai ristretti da parte del soggetto coinvolto e pertanto del suo difensore.

Vi rientrano alcuni dei reati commessi dai cd. “colletti bianchi” e legati al mondo della finanza, del mercato e del commercio, tra i quali:

 

– Truffa

– Riciclaggio

– Delitti di corruzione

– Frodi in erogazioni pubbliche

– Corruzione internazionale

– Turbative d’asta

– Astensione dagli incanti

– Frodi e inadempimenti nelle pubbliche forniture

– Truffa aggravata per il conseguimento di finanziamenti concessi dallo Stato o dalle CE

– Insolvenza fraudolenta

– Falso in bilancio

La più parte risulta nel Codice Penale disciplinata dagli articoli 314 – 360, e si suddividono in due principali categorie. La prima riguarda reati commessi dai pubblici ufficiali o addetti a pubblici servizi nei confronti della Pubblica Amministrazione, quali peculato, concussione e corruzione.

La seconda, invece, comprende reati commessi dai privati contro la Pubblica Amministrazione, come la violenza o la minaccia a un pubblico ufficiale, la resistenza a un pubblico ufficiale e l’interruzione di pubblico servizio.

Per pubblico ufficiale si intende colui che esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Ed in particolare il pubblico ufficiale si caratterizza per la manifestazione della volontà della Pubblica Amministrazione, nell’esercizio di poteri deliberativi, autoritativi o certificativi, o nell’ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico.

Esempi di pubblici ufficiali possono essere individuati in figure quali gli Ufficiali Giudiziari, i Carabinieri e gli agenti della Pubblica Sicurezza, i consulenti tecnici, i portalettere, i notai, i magistrati e i messi notificatori operanti per conto di Equitalia.

Tali reati contro la Pubblica Amministrazione costituiscono un segmento di estrema importanza nell’ambito del diritto penale, poiché comportano violazioni delle norme che regolano l’esercizio delle funzioni pubbliche.

Una corretta comprensione delle figure di pubblico ufficiale e di privato, nonché delle tipologie di reato previste dal codice penale, rappresenta un elemento essenziale per la corretta applicazione della legge e per la tutela della legalità nell’ambito della Pubblica Amministrazione.

Coloro che si dedicano ad un pubblico servizio sono quelli che, in ogni circostanza, svolgono attività disciplinata dalle stesse norme che regolano l’esercizio della pubblica funzione, ma si distingue da quest’ultima per la mancanza di poteri deliberativi, autorizzativi e certificativi.

Alcuni esempi di addetti di un pubblico servizio includono i dipendenti di enti pubblici, gli esattori delle società concessionarie per l’erogazione del gas, i custodi dei cimiteri e le guardie particolari giurate.

Per giurisprudenza consolidata le attività che si limitano alla mera esecuzione di ordini o istruzioni altrui non possono essere equiparate alle mansioni svolte dagli addetti di un pubblico servizio.

Ciò in quanto per poter essere considerati incaricati di un pubblico servizio è necessario possedere un minimo di potere discrezionale che implichi lo svolgimento di mansioni intellettuali in senso lato.

E’ importante comprendere la natura e le implicazioni di un addetto di un pubblico servizio, in quanto ciò impone il rispetto di norme e procedure specifiche.

L’assunzione di responsabilità verso la collettività richiede una forte etica professionale e un comportamento esemplare nell’adempimento delle mansioni assegnate.

Peculato (art. 314 c.p.)

È il reato commesso dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (quindi reato proprio), che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria. La pena prevista è la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi. Esempio di peculato è quando un tesoriere comunale, o un altro funzionario che amministra denaro statale, si appropria di somme appartenenti all’ente pubblico.

È richiesta l’appropriazione di denaro o altra cosa mobile con un comportamento uti dominus (cioè come se se ne fosse il proprietario).

Al secondo comma è disciplinato il Peculato d’uso, che si configura quando il funzionario pubblico si appropria della cosa al solo scopo di farne uso momentaneo e, dopo tale uso, la restituisce immediatamente. In questo caso, la pena è la reclusione da 3 a 6 anni.

Esempio tipico è l’uso per fini personali, da parte del pubblico funzionario, del telefono assegnatogli per esigenze di ufficio; in questo caso l’agente distoglie il bene fisico costituito dall’apparecchio telefonico, di cui ha il possesso per ragioni di ufficio, dalla sua destinazione pubblicistica, piegandolo a fini personali, per il tempo dell’uso, restituendolo, alla cessazione dell’uso, alla sua destinazione originaria. Il dolo in questo caso è specifico, perché consistente nell’intenzione di usare momentaneamente i beni.

L’art. 316 c.p. regola, inoltre, il Peculato mediante profitto dell’errore altrui, che ci concretizza nella condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell’errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità. La pena è la reclusione da sei mesi a tre anni. Il D. Lgs. 75/2020 – che ha recepito la Direttiva (UE) 2017/1371 (cd. Direttiva PIF) recante norme per la “lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale” ha previsto, con l’aggiunta del secondo comma, un aumento nel massimo edittale fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.

Malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.)

Punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità. L’ipotesi criminosa si caratterizza per l’ottenimento di finanziamenti pubblici in modo lecito e per il successivo utilizzo degli stessi per finalità diverse da quelle sottese all’erogazione.

Ad esempio, commette il reato di malversazione l’imprenditore edile che dopo aver conseguito fondi europei per la realizzazione di immobili destinati all’edilizia popolare, decida poi di investire i succitati fondi ottenuti in un diverso progetto edilizio, volto alla costruzione di un centro commerciale.

Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.)

Fattispecie introdotta dalla Legge n. 300/2000 (art. 4), che punisce, salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque consegue indebitamente, per sé o per altri, mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee. La pena è la reclusione da sei mesi a tre anni.

Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri la pena è, invece, della reclusione da uno a quattro anni, così come inserito dalla legge n. 3/2019.

Se il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione Europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000 la pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni, così come inserito dal D. Lgs n. 75/2020.

Si applica, invece, la sola sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822 nel caso in cui la somma indebitamente percepita sia pari o inferiore a euro 3.999,96. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.

La condotta si concretizza nell’indebito conseguimento, per sé o per altri, di fondi, comunque denominati, concessi o erogati dallo Stato, da altri Enti pubblici o dalle Comunità Europee, mediante condotte commissive (l’utilizzo o nella presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere) od omissive (omissione di informazioni dovute). A differenza della malversazione, che integra le ipotesi di distrazione delle risorse e d’indebito utilizzo di fondi regolarmente erogati e conseguiti, l’art. 316 ter punisce le attività connesse a un momento precedente.

La fattispecie in esame risulta applicabile solo qualora non sia configurabile l’ipotesi di truffa ai danni dello Stato (art. 640 bis c.p.). Il discrimine tra l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche sono l’induzione in errore ed il verificarsi di un danno patrimoniale, elementi questi che caratterizzano, appunto, il delitto di truffa.

Concussione (art. 317 c.p.)

Per costrizione è il reato commesso dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità (cioè facendo valere la sua posizione e strumentalizzando la propria qualifica soggettiva) o dei suoi poteri (utilizzando in modo distorto le attribuzioni del proprio ufficio) costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità. La pena è la reclusione da sei a dodici anni.

Si definisce come reato proprio, in quanto può essere commesso soltanto da un funzionario della PA ed è quello più gravemente sanzionato. In alcuni casi, può comportare anche l’interdizione dagli uffici, perpetua o temporanea. In sostanza, può essere accusato di questo comportamento illegale chi si fa dare o promettere, per sé o per altri, denaro ( la cosiddetta “mazzetta” o “tangente”), o un altro vantaggio anche non patrimoniale abusando della propria posizione. Caso noto è quello del funzionario della PA che chiede di nominare una persona come tecnico per l’esecuzione di alcune opere da lui imposte. La condotta può esplicitarsi in due differenti modalità: costrizione ed induzione.

Si possono citare come esempi il professore che pretende una prestazione sessuale da una studentessa minacciandola di non farle passare l’esame o il funzionario comunale che chiede somme di denaro per compiere l’atto amministrativo cui è tenuto per legge, sotto la minaccia di non effettuarlo o il dirigente Asl che costringe il titolare di un ristorante a somministrargli pasti gratis chiedendo allusivamente al titolare se l’esercizio era a posto con le autorizzazioni di Legge oppure il caso di un carabiniere che, accennando alla possibilità del ritiro della patente, costringe il responsabile di un sinistro stradale a risarcirgli immediatamente il danno provocato, anziché incardinare la normale procedura di risarcimento del danno. Reato procedibile d’ufficio.

Corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p. c.d. Impropria)

Si configura nelle ipotesi in cui il pubblico ufficiale, per l’esercizio delle sue funzioni, indebitamente riceva, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetti la promessa. In poche parole, è un accordo (cd. pactum sceleris) tra un funzionario pubblico ed un soggetto privato, mediante il quale il primo accetta dal secondo, per l’esercizio delle sue funzioni, denaro o altra utilità. La pena è la reclusione da tre a otto anni. Tale condotta è punita anche quando è compiuta da un incaricato di pubblico servizio, ma, in tal caso, la pena è ridotta in misura non superiore a un terzo (art. 320 c.p.).

La fattispecie in esame, prescindendo dalla necessità di individuare specifici atti oggetto del pactum sceleris, va a reprimere le condotte caratterizzate dall’asservimento della funzione pubblica.

Un esempio è la condotta di un appartenente alla Guardia di Finanza che riceve, da soggetti interessati ad avere informazioni circa gli accertamenti fiscali svolti a carico delle proprie società, somme di danaro con cadenza mensile e regalie per asservire stabilmente la propria attività agli interessi personali dei suddetti privati e delle loro società mediante il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio agevolando costoro nelle verifiche fiscali, predisponendo le risposte da fornire ai verificatori e rivelando notizie di ufficio riservate sull’andamento delle verifiche stesse.

Mentre il reato di concussione è connotato dall’abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno da cui deriva una grave limitazione della libertà di autodeterminazione del destinatario, la corruzione è, invece, caratterizzata da un accordo liberamente e consapevolmente concluso, su un piano di sostanziale parità, tra un privato e un funzionario pubblico verso un comune obiettivo illecito.

Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (artt. 319 c.p. c.d. Propria)

Tale fattispecie corruttiva si configura nelle ipotesi in cui il pubblico ufficiale per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità o ne accetta la promessa.

Tale condotta è punita anche quando è compiuta da un incaricato di pubblico servizio, ma, in tal caso, la pena è ridotta in misura non superiore a un terzo (art. 320 c.p.).

In particolare, la condotta può concretizzarsi in una omissione o in un ritardo nel compimento di un atto di ufficio ovvero nel compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, ricomprendendo qualsiasi comportamento del pubblico funzionario in contrasto con norme giuridiche o che violi i doveri di fedeltà, imparzialità, segretezza ed onestà, i quali vanno osservati da chiunque eserciti una pubblica funzione.

Il reato in esame, connotato da un rapporto paritetico tra pubblico ufficiale/ incaricato di un pubblico servizio-corrotto e privato-corruttore così come per la fattispecie di cui all’art. 318 c.p.c, se ne differenzia in virtù del fatto che l’atto richiesto al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio, a fronte della dazione o della promessa di denaro o di altra utilità, risulta contrario ai doveri d’ufficio.

Il reato è aggravato quando il fatto ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene.

Un esempio è la condotta dell’amministratore di una società distributrice di prodotti farmaceutici che corrisponde denaro ed altre utilità ad alcuni medici convenzionati con il SSN affinché consiglino ai propri pazienti l’utilizzo di un determinato integratore alimentare.

Corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.)

Si configura nelle ipotesi in cui i fatti di corruzione, sia propria (art. 319 c.p.) che impropria (art.318 c.p.), vengano commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo giudiziario (civile, penale o amministrativo). La pena è la reclusione da sei a dodici anni.

Esso si integra nel momento in cui, uno degli atti corruttivi previsti dagli artt. 318 e 319 c.p. viene compiuto all’interno di un processo civile, penale o amministrativo, per favorire o danneggiare una parte processuale (persona fisica o giuridica che ha avanzato o nei cui confronti è stata avanzata domanda giudiziale). Si precisa che, all’interno del processo penale sono parti: l’indagato, il Pubblico Ministero, l’imputato, la parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato a sostenere il pagamento della pena pecuniaria.

Elemento di differenziazione rispetto alle ipotesi di corruzione di cui agli artt. 318 e 319 è la finalità per cui la corruzione viene posta in essere, costituita dalla volontà di favorire o danneggiare una parte in un processo penale, civile o amministrativo.

Al comma 2 è prevista un aggravante nel caso in cui dal fatto derivi l’ingiusta condanna alla reclusione. In particolare, se deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da otto a venti anni.

Un esempio è il cancelliere che, attraverso l’assegnazione irregolare dei processi tramite manipolazione dei criteri automatici di assegnazione, faceva assegnare ai giudici onorari compiacenti le pratiche giudiziarie di alcuni avvocati.

Si precisa che tale fattispecie non ricorre soltanto in relazione all’esercizio delle funzioni giudiziarie cui è subordinata e allo status di colui che le esercita, ma ha una portata più ampia. Infatti, come precisato dalla Corte di Cassazione, costituisce “atto giudiziario” qualsiasi atto funzionale a un procedimento giudiziario, indipendentemente dalla qualifica soggettiva di chi lo realizza (Cass., Sezioni Unite, n. 15208/2010 con riferimento alla testimonianza resa in un processo penale).

L’art. 321 c.p. estende le pene previste dagli artt. 318, 319, 319 bis e 319 ter c.p. per il corrotto anche al corruttore, cioè a chi dà o promette il denaro od altra utilità.

Induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p. c.d. concussione per induzione)

È il reato del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità. La pena è la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi. Chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.

Ad esempio, la richiesta di denaro da parte di un cancelliere, rivolta agli amministratori di un’azienda coinvolta in un’indagine, accreditando loro la possibilità di incidere, come impiegato dell’ufficio, sui tempi e sugli esiti del procedimento.

Tale fattispecie prevede, a differenza della concussione impropria (art. 317 c.p.), che possa essere commesso non solo dal pubblico ufficiale, ma anche dall’incaricato di un pubblico servizio (art. 320 c.p.), nonché la punibilità anche del privato che perfeziona la dazione dell’indebito (art. 321 c.p.).

Sulla differenza con le precedenti fattispecie, la Corte di Cassazione (Sezioni Unite, sentenza n. 12228/2014) ha osservato che:

 il discrimine tra il reato di concussione (art. 317 c.p.) e quello di induzione indebita a dare o promettere utilità (319-quater c.p.) è un abuso costrittivo (quindi condotte costrittive) del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o minaccia di un danno ingiusto, che determina la soggezione psicologica del destinatario, seppur senza un totale annullamento, della libertà di autodeterminazione del destinatario, mentre l’induzione indebita si realizza con una condotta di persuasione, inganno o pressione morale che condiziona in modo più tenue la volontà del destinatario (mera soggezione psicologica);

i reati di concussione e induzione indebita si distinguono dalle fattispecie corruttive in quanto i primi due delitti presuppongono una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico idonea a determinare la soggezione psicologica del privato, costretto o indotto alla dazione o promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo viene concluso liberamente e consapevolmente dalle parti, su un piano di parità tra le stesse (par condicio contractualis), ed in grado di produrre vantaggi reciproci per entrambi i soggetti che lo pongano in essere.

Istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.)

Prevede che chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo 318, ridotta di un terzo. La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.

Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’articolo 319, ridotta di un terzo. Tale pena si applica anche al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro ad altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 319.

Il reato è configurabile solo ove l’offerta del privato o la richiesta del pubblico funzionario non vengano accolte dal destinatario. Tuttavia, ove il rifiuto non sia stato immediato e siano incorse trattative poi non sfociate in un accordo, si ritiene configurabile un tentativo di corruzione del quale rispondono entrambi i soggetti. Nell’istigazione alla corruzione passiva la condotta consiste nell’offrire o nel promettere denaro o altra utilità non dovuti al funzionario. L’offerta o la promessa deve essere seria e concreta ed idonea alla realizzazione dello scopo, tale cioè da indurre il destinatario a compiere o a ritardare un atto dell’ufficio o del servizio ovvero a fare un atto contrario a detti doveri.

Ad esempio, risponde di istigazione alla corruzione colui che, al fine di indurre i pubblici ufficiali, intervenuti per l’accertamento della dinamica di un sinistro in cui era coinvolto ed in procinto di verificarne le condizioni di ebbrezza alcolica, ad omettere un atto del loro ufficio, offriva loro una somma di denaro, offerta non accolta.

Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di Stati esteri (art. 322 bis c.p.)

L’art 322 bis estende la punibilità delle fattispecie di cui sopra (con l’aggiunta del reato di peculato) nei confronti di membri appartenenti ad organi delle Comunità Europee o Stati esteri.

Abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), attualmente sotto la lente del Legislatore per eventuale sua abrogazione.

E’ il reato del pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto. La pena è la reclusione da sei mesi a tre anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.

Ad esempio, integra l’abuso d’ufficio la condotta del responsabile di un ufficio pubblico che ricorra arbitrariamente e sistematicamente alla collaborazione di personale esterno, pur potendo far fronte alle esigenze istituzionali attraverso il personale interno, arrecando vantaggio al privato cui conferisce incarichi retribuiti.

Circostanze attenuanti (art. 323 bis c.p.c)

Le pene sono diminuite se i fatti previsti dalle fattispecie precedenti sono di particolare tenuità.

La pena è diminuita da un terzo a due terzi per chi si sia adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro di somme o altre utilità trasferite.

Trattasi di circostanza attenuante di natura soggettiva per la collaborazione processuale introdotta dalla Legge anticorruzione n. 69/2015.

Utilizzazione d’invenzioni o scoperte conosciute per ragione d’ufficio (art. 325 c.p.);

 Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p.);

 Rifiuto di atti d’ufficio e omissione (art. 328 c.p.)

È il reato del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo. La pena è la reclusione da sei mesi a due anni.

Per la configurabilità del reato il rifiuto deve essere indebito, e pertanto contrario ai doveri dell’agente e non giustificato, e riguardare un atto d’ufficio, ovvero un atto urgente che deve essere compiuto senza ritardo, come ad esempio sequestri obbligatori amministrativi o la confisca amministrativa o gli ordini di distruzione degli immobili abusivi.

Il secondo comma punisce, invece, l’omissione non motivata di atti richiesti, che si verifica nel caso in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.

Perché vi sia omissione è pertanto necessaria la richiesta formale dell’interessato, il mancato compimento dell’atto entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta e la mancata esposizione all’interessato, nello stesso termine, delle ragioni del ritardo.

Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica (art. 329 c.p.)

 Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità (art. 331 c.p.)

Chi, esercitando imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, interrompe il servizio, ovvero sospende il lavoro nei suoi stabilimenti, uffici o aziende, in modo da turbare la regolarità del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa non inferiore a euro 516. I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da tre a sette anni e con la multa non inferiore a euro 3.098.

Agli effetti della legge penale (art. 359 c.p.), sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:

1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi (ad esempio l’avvocato iscritta all’albo);

2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica Amministrazione (ad esempio l’attività di assicurazione contro i rischi della responsabilità civile nella circolazione di veicoli, trattandosi di attività autorizzata in forza di un atto della pubblica amministrazione e posta al servizio della collettività, oppure l’agenzia di pratiche automobilistiche che rilasci un certificato sostitutivo della carta di circolazione).

Ad esempio, l’ingiustificato inadempimento delle prestazioni proprie del servizio farmaceutico da parte del titolare di una farmacia in turno di reperibilità.

Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa (art. 334 c.p.);

Violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa (art. 334 c.p.);

I delitti dei privati contro la Pubblica Amministrazione comprendono:

Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.)

Si configura contro chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa.

Un esempio è il caso in cui gli agenti di polizia, intervenuti a seguito di una lite tra figlio e madre, subiscano aggressione verbale o fisica giunti sull’ingresso dell’abitazione;

Resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337 c.p.)

E’ il reato di chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale, o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto d’ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

A differenza però del delitto di violenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 336, nella fattispecie in esame la violenza o minaccia accompagna il compimento dell’atto da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio e non lo precede. Il discrimine è quindi il fattore temporale della condotta posta in essere.

Ad esempio, la condotta di colui che si sottrae all’identificazione degli operanti attraverso una complessa manovra di guida nel corso della quale, alla simulazione di resa, era seguita una fuga dal parcheggio di un centro commerciale, con concreta esposizione a rischi per le persone, oppure l’uso di spintoni e movimenti volti a divincolarsi posti in essere dal soggetto fermato, integrata appunto dalla coscienza e volontà di impedire e/o turbare l’attività del pubblico ufficiale nello svolgimento del proprio atto d’ufficio;

Occultamento, custodia o alterazione di mezzi di trasporto (art. 337 bis c.p.);

 Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti (art. 338 c.p.);

Circostanze aggravanti (art. 339 c.p.c) Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.

Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è della reclusione da tre a quindici anni e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusione da due a otto anni

Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità (art. 340 c.p.)

E’ il reato commesso da chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge [330, 331, 431, 432, 433], cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità. La pena è la reclusione fino a un anno. Quando la condotta di cui al primo comma è posta in essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, si applica la reclusione fino a due anni.

I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.

Integra ad esempio la fattispecie in esame la condotta di un gruppo di manifestanti che, dopo essersi introdotto nella sede di un ente pubblico territoriale, impedisca di fatto per un apprezzabile periodo di tempo l’espletamento del servizio di portineria o la condotta del proprietario di un’autovettura che parcheggi la stessa in una posizione tale da impedire o comunque ostacolare grandemente il transito di un’autoambulanza, determinando in tal modo un ritardo nella prestazione del servizio.

A differenza del reato di interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità di cui all’art. 331 c.p., classificato come reato proprio per la qualifica del soggetto che lo può realizzare (imprenditore, in senso lato), nella fattispecie in esame ex art. 340 c.p. manca tale requisito soggettivo (titolarità di un’impresa esercente il suddetto servizio);

Oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis c.p.)

E’ il reato commesso da chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. La pena è la reclusione da sei mesi a tre anni.

La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, ma se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile (causa di non punibilità).

Il reato si considera, invece, estinto nel caso in cui l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima;

Oltraggio a Corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 342 c.p.);

Oltraggio a un magistrato in udienza (art. 343 c.p.);

L’art. 393 bis c.p. disciplina la speciale CAUSA DI NON PUNIBILITA’ DELLA REAZIONE LEGITTIMA AGLI ATTI ARBITRARI DEI PUBBLICI UFFICIALI, applicabile ai delitti previsti dagli artt. 336, 337, 338, 339, 339 bis, 341 bis, 342 e 343, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari, i limiti delle sue attribuzioni.

Offesa all’autorità mediante danneggiamento di affissioni (art. 345 c.p.);

Traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p.)

Si configura quando chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli art. 318, 319 e 319 – ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322 bis, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, ovvero per remunerarlo in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. La pena è la reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.

Alla medesima pena soggiace chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale.

La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

Le pene sono, altresì, aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie, o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.

Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.

Sono pertanto sanzionate le condotte di chi, vantando un’influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilità quale prezzo della propria mediazione. Ad esempio un ufficiale di polizia giudiziaria che, avendo ricevuto una denuncia di reato da parte di un privato, aveva chiesto e ottenuto da quest’ultimo la corresponsione di una somma di danaro con la quale, a suo dire, avrebbe dovuto comprare il favore del sostituto procuratore della Repubblica che aveva in carico il procedimento, onde far sì che lo stesso venisse portato avanti con sollecitudine.

Trattasi di una fattispecie introdotta tra i “reati presupposto” dalla Legge n. 3/2019 (legge Anticorruzione 2019);

Usurpazione di funzioni pubbliche (art. 347 c.p.);

Esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.)

Punisce chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000.

La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.

Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

Esempio del reato di specie è quello di un soggetto, che, spacciandosi per avvocato, aveva trattato la liquidazione di un sinistro in nome e per conto di un soggetto che si era inconsapevolmente affidato a lui o l’attività di colui, tipo gestore di una palestra, che fornisce indicazioni alimentari personalizzate, sulla base della valutazione delle caratteristiche fisiche di ogni cliente, caratterizzate da puntuali prescrizioni e previsioni, senza però appartenere alle categorie professionali che hanno specifiche competenze in tema di bisogni alimentari (medico biologo, farmacista, dietologo);

Violazione di sigilli (art. 349 c.p.)

È il reato di chiunque viola i sigilli, per disposizione della legge o per ordine dell’autorità apposti al fine di assicurare la conservazione o l’identità di una cosa. La pena è la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da euro 103 a euro 1.032. Se il colpevole è colui che ha in custodia la cosa, la pena è della reclusione da tre a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 3.098.

Ad esempio, l’asportazione dei sigilli dal veicolo sottoposto a fermo amministrativo.

Se la violazione dei sigilli è resa possibile, o comunque agevolata, per colpa di chi ha in custodia la cosa, questi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929 (art. 350 c.p.);

Violazione della pubblica custodia di cose (art. 351 c.p.)

Punisce chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora corpi di reato, atti, documenti, ovvero un’altra cosa mobile particolarmente custodita in un pubblico ufficio, o presso un pubblico ufficiale o un impiegato che presti un pubblico servizio. La pena è, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, la reclusione da uno a cinque anni;

Vendita di stampati dei quali è stato ordinato il sequestro (art. 352 c.p.);

 Turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.)

E’ il reato commesso da chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti [534c.p.c., 576-581 c.p.c., 264] o nelle licitazioni private  per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti. La pena è la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da euro 103 a euro 1.032.

Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dall’Autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da euro 516 a euro 2.065.

Nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata, le pene sono ridotte alla metà;

Per pubblici incanti deve intendersi la procedura attuata dalla P.A. per la stipulazione di contratti con i privati e consistente in una gara aperta tra diversi concorrenti per l’assegnazione del contratto a chi fa l’offerta più vantaggiosa.

Per licitazione privata si intende la procedura attuata dalla P.A. per la stipulazione di contratti con i privati e consistente in una gara aperta ad un numero ristretto di concorrenti, considerati potenzialmente idonei a fornire la prestazione dovuta, per l’assegnazione del contratto a chi fa l’offerta più vantaggiosa.

Presupposto del reato è la pubblicazione del bando, non potendovi essere alcuna consumazione, neanche nella forma tentata, prima di tale momento.

Ad esempio, è stata ritenuta la turbativa a carico del legale rappresentante di una società che partecipando ad alcune cene con altri imprenditori, metteva a punto accordi per aggiudicarsi le gare, predisponendo e pianificando il numero e le società che dovevano concorrere alla gara di appalto relativa all’affidamento dei servizi di pulizia e spurgo della rete di fognatura esistente nel territorio comunale, stabilendo la percentuale di ribasso da indicare nelle singole offerte ed indicando le società che non dovevano partecipare o dovevano essere estromesse a causa della presentazione di offerte contenenti documentazione irregolare o sconti più bassi; Ciò a prescindere dal danno causato alla PA e dal raggiungimento dell’obiettivo, in quanto, come stigmatizzato dalla Cassazione, il turbamento si verifica quando la condotta collusiva influisce soltanto nella regolarità della gara anche senza alterarne i risultati.

Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353 bis c.p.)

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032

Si è ritenuta, ad esempio, configurabile la fattispecie in esame in un caso di omessa pubblicità del bando di gara sulla Gazzetta Ufficiale e sui quotidiani a diffusione locale, nonché sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dell’Osservatorio, allo scopo pratico di limitare la conoscenza e/o conoscibilità del relativo bando ai possibili concorrenti, tanto che pervennero solo tre offerte ed una sola ditta fu ammessa;

Astensione dagli incanti (art. 354 c.p.)

E’ il reato commesso da chiunque, per denaro, dato o promesso a lui o ad altri, o per altra utilità a lui o ad altri data o promessa, si astiene dal concorrere agli incanti o alle licitazioni indicati nell’articolo precedente. La pena è la reclusione sino a sei mesi o la multa fino a euro 516;

Inadempimento di contratti di pubbliche forniture (art. 355 c.p.)

Commesso da chiunque, non adempiendo gli obblighi che gli derivano da un contratto di fornitura concluso con lo Stato, o con un altro ente pubblico, ovvero con un’impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, fa mancare, in tutto o in parte, cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio. La pena è la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103, aumentata nel caso in cui la fornitura concerne:

1) sostanze alimentari o medicinali, ovvero cose od opere destinate alle comunicazioni per terra, per acqua o per aria, o alle comunicazioni telegrafiche o telefoniche;

2) cose od opere destinate all’armamento o all’equipaggiamento delle forze armate dello Stato;

3) cose od opere destinate ad ovviare a un comune pericolo o ad un pubblico infortunio.

Se il fatto è commesso per colpa, si applica la reclusione fino a un anno, ovvero la multa da euro 51 a euro 2.065. Le stesse disposizioni si applicano ai subfornitori, ai mediatori e ai rappresentanti dei fornitori, quando essi, violando i loro obblighi contrattuali, hanno fatto mancare la fornitura;

La norma sanziona la condotta di coloro i quali abbiano in essere un rapporto contrattuale con lo Stato (o altri Enti Pubblici o servizi di pubblica necessità), i quali, non adempiendo agli obblighi pattizi, fanno mancare prodotti o opere essenziali.

Ad esempio, sussiste il reato in esame nel caso in cui, con riferimento a lavori di costruzione di un viadotto, l’opera costruita, a differenza di quanto previsto nel capitolato, non assicurava in condizione di sicurezza statica il traffico di veicoli pesanti oppure quando ci si rende  inadempienti agli obblighi che derivavano dal contratto d’appalto affidato da un’Azienda Ospedaliera, eseguendo le opere con “approssimazione, grossolanità, materiali di qualità scadente e non a regola d’arte” e rendendo inutilizzabile un intero reparto;

Frode nelle pubbliche forniture (art, 356 c.p.)

Prevede che chiunque commette frode nell’esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro 1.032.

Ciò che distingue il reato di frode nelle pubbliche forniture dal meno grave reato di inadempimento nelle pubbliche forniture è una condotta qualificabile in termini di malafede contrattuale, consistente nel porre in essere un espediente malizioso o ingannevole, idoneo a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti, non essendo sufficiente il semplice inadempimento doloso del contratto. Pertanto, oltre agli inadempimenti che si concretano nella consegna di cosa od opera completamente diversa da quella pattuita, o di cosa od opera affetta da vizi o difetti, la norma di cui all’art. 356 c.p., richiede anche un comportamento, da parte del privato fornitore, non conforme ai doveri di lealtà e moralità commerciale e di buona fede contrattuale (la frode).

Ad esempio, integra il delitto di frode in pubbliche forniture la condotta del legale rappresentante di un’impresa risultata aggiudicataria di un appalto per il servizio di refezione scolastica che utilizzi ripetutamente materie prime diverse da quelle previste nel capitolato speciale d’appalto oppure la consegna a vari enti ospedalieri committenti dei materiali per uso ortopedico di marche diverse da quella pattuita, senza avvisare i committenti pubblici della sostituzione dell’oggetto della fornitura.